Sua Maestà lo sfincione, il cibo dei palermitani per la festa dell’Immacolata
Come ogni anno la festa dell’Immacolata Concezione, che si festeggia la sera tra il 7 e l’8 dicembre, fa da apripista alle festività natalizie che si susseguono incessantemente in un “tourbillon” che non da tregua, soprattutto al nostro stomaco.
Ma si sa, il Natale, facendo eco ad un noto spot televisivo, “quando arriva arriva” dunque, che ne abbiamo più o meno voglia, non possiamo fare a meno di festeggiarlo, e quale modo migliore per farlo se non mettersi ai fornelli a cucinare i piatti tipici della tradizione quale, ad esempio, un “regale” sfincione ?
Dalle finestre migliaia di luci colorate adornano le case come gioielli preziosi indossati da belle signore, non c’è negozio la cui vetrina non faccia sfoggio di luccicanti decori, non c’è strada che non sia addobbata a festa, nessun dubbio: è Natale.
Anche se quest’anno non sarà il solito Natale, o forse proprio per questo, non resta che rimboccarsi le maniche, tirare un bel sospiro e lasciarsi tentare dall’aria frizzante che, nonostante tutto, si respira sin dal primo giorno di dicembre. E poi, una volta tornati a casa, colmi di pacchi e pacchettini, panettoni imbottiti di “milleeungusto“, torroni ripieni di ogni sorta di croccante frutta secca, cioccolatini dalle carte luccicanti e ogni altra golosità , non c’è nulla di meglio da fare se non cominciare a cucinare i piatti tipici della tradizione. Quelli che ogni anno, da sempre, siamo certi di avere mangiato e, se andiamo a ritroso nel tempo, siamo altrettanto sicuri che lo abbiano fatto anche i nostri genitori e i nostri nonni e bisnonni.
Per la sera dell’Immacolata a Palermo è consuetudine preparare una cena in cui la frittura la fa da padrona, prendendo le “sembianze” di frittelle salate declinate in diversi gusti tra cui alla ricotta, al formaggio” primosale”, ai cardi , ai broccoli, solo per citarne alcune.
A seguire, solo per “ordine di apparizione” e non certo per minore importanza, il posto d’onore viene riservato ad un soffice e profumatissimo “sfincione” di cui andiamo a conoscere le origini. Nonostante il posto d’onore degno di un re che da sempre gli viene riservato, in realtà, si tratta di un cibo “umile” della cucina siciliana, che trova il suo “alter ego” nella pizza napoletana.
“U sfinciuni” ( o sfincionello chiamandolo con un vezzeggiativo) nasce, infatti, dall’ esigenza di offrire durante le festività un “pane diverso” vestito , appunto, a festa. Si potrebbe definire un pane condito, ma la particolarità dei suoi condimenti lo fa diventare un piatto unico nel suo genere. ll nome “sfincione” è prettamente siciliano e significa “grossa sfincia”( laddove per “sfincia” si intende un impasto morbido e ben lievitato).
Sebbene il suo semplice impasto, costituito da farina e lievito, sia di probabile origine araba, si pensa che lo sfincione sia stato inventato, da alcune suore, all’interno del monastero di San Vito a Palermo. Secondo altri lo sfincione ha, invece, origine contadina rappresentando il “pane e companatico” delle tavole degli agricoltori.
In passato la preparazione dello sfincione era legata, esclusivamente, al periodo natalizio ad eccezione, come ci indica il Pitrè, della festa del fidanzamento, il cosiddetto “appuntamientu“, che avveniva in casa della promessa sposa in occasione della quale la madre cucinava questa pietanza in maniera copiosa e abbondante in segno di buon augurio.
Quale che sia la sua origine, oggi ormai lo sfincione non è più una pietanza caratteristica esclusivamente delle feste (anche se durante le feste non deve mai mancare) ed è certo che non esiste panificio, friggitoria o rosticceria a Palermo che non metta in bella mostra, durante tutto l’anno, delle “succulente” porzioni di sfincione adagiato in grandi teglie rettangolari annerite dal fumo dei forni, né, tantomeno esiste “sfincionaro” ossia venditore ambulante di sfincione che, spingendo il proprio “baracchino” dotato di ruote, non accompagni il suo lento andare “abbanniando” (ossia gridando), come qualsiasi “imbonitore” che si rispetti , “accattativillu u sficionello caddu caddu” (trad. comprate lo sfincione caldo caldo).
Il suo impasto di pane, viene fatto lievitare ad arte, per conferirgli altezza e morbidezza , poi, una volta steso, in forma circolare o rettangolare, viene condito prima di essere infornato con semplici ingredienti la cui unione da un risultato dal gusto unico. Il vero carattere distintivo dello sfincione è la mollica che gli regala una propria identità specifica. Questa, infatti, secondo l’antica ricetta, non deve essere di pangrattato, perché risulterebbe troppo secca, bensì deve essere ottenuta, sfregando con le mani l’interno di grandi pagnotte, chiamate “vastidduna pi’ sfinciuna” lasciate essiccare per circa 4 giorni.
L’impasto di farina viene fatto lievitare due volte per renderlo più morbido. Viene poi schiacciato con il palmo della mano e steso nelle teglie fino a fargli assumere la forma desiderata. Su questa base cruda si conficcano le alici e il caciocavallo a piccoli pezzetti. Sopra questo strato se ne fa un secondo di mollica di pane sbriciolata e abbrustolita in padella, mista a salsa di pomodoro fresco, pecorino grattugiato, cipolla appassita in padella , origano e olio nuovo. Infine, ultimo ma non meno importante, è la cottura in forno preferibilmente a legna. Ancora tanto si potrebbe scrivere sullo sfincione ma a questo punto sarebbe proprio il caso di gustarne una porzione dall’inconfondibile profumo. Certamente potete comprarlo ma, se preferite, potete provare a prepararlo in casa con le ricetta che di seguito vi proponiamo.
Sfincione palermitano
Ingredienti
Per l’impasto
250 gr di farina 00
250 gr. di farina rimacinata
25 gr. di lievito di birra
250 g (circa) di acqua
1 cucchiaio di zucchero
1 cucchiaino di sale
una tazzina di olio evo.
Per il condimento
4 cipolle
300 gr. di caciocavallo fresco ( o formaggio vegetale)
50 gr. di caciocavallo grattugiato (o formaggio vegetale)
100 gr. di filetti di acciuga sott’olio (facoltative)
500 gr. passata di pomodoro
una manciata di origano
mollica di pane o pangrattato
un pizzico di zucchero
olio extravergine d’oliva
sale e pepe.
Mettete le farine a fontana in un recipiente, dopo averle setacciate. Ponete il lievito sciolto con poca acqua tiepida al centro della fontana insieme all’olio, il sale e lo zucchero. Impastate aggiungendo poca acqua tiepida fino ad ottenere un impasto molto morbido simile ad una pastella più consistente. Lasciate lievitare l’impasto per due ore coperto con un panno di lana.
Nel frattempo preparate il condimento. Tagliate le cipolle a fette sottili e lasciatele appassire in un tegame con olio extra vergine di oliva. Aggiungete la passata di pomodoro,un pizzico di zucchero, il pepe, poco sale e fate cuocere per circa 20 minuti. Trascorso il tempo indicato, impastate delicatamente una seconda volta e fate lievitare ancora per un ora. Intanto fate dorare la mollica (o il pangrattato) in una padella. Ungete una teglia e spolveratela di pangrattato. Stendete l’impasto nella teglia con i polpastrelli leggermente unti .Cospargete la superficie con pezzetti di formaggio caciocavallo e di acciughe “affondandoli” leggermente nella pasta. Versate e su tutta la superficie il sugo e la cipolla , spolverate con il caciocavallo grattugiato, con il pangrattato e con l’origano. Lasciare riposare per mezz’ora circa dopo averlo irrorato con un filo d’olio nuovo. Preriscaldate il forno a 250° circa, infornate per 30 minuti circa.