Gli struffoli napoletani : origini e ricetta di un dolce sempiterno
Il Natale offre infiniti spunti gastronomici attraverso cui cimentarsi in una estenuante “gara culinaria” all’ultimo boccone. Quando, poi, si ha una madre napoletana e un padre siciliano inevitabilmente ogni ricorrenza da festeggiare diviene un’ inesauribile carrellata di portate partenopee e panormite che si alternano, come giocatori di squadre diverse, che in una partita si “rubano” continuamente la palla al fine di decidere la squadra vincente. Per fortuna a tavola non ci sono né vincitori né vinti. Le origini e la “preziosa” ricetta degli struffoli napoletani.
A fa ‘e struffoli è nu sfizio. Cumminciamm dall’inizio: faje na pasta sopraffina, e po’ tagliala a palline, cu na bona `nfarinata. Dopp’a frje. Già t’e stancate? Chest è a parte chiù importante! Mò ce vo’: miele abbondante e na granda cucuzzata (a cocozza nzuccherata). N’è fernuto ancora, aspiette! S’anna mettere ‘e cunfiette: aggrazziate, piccerille, culurate: ‘e diavulille… Ma qua nfierno, è Paraviso! Iamme, falle nu’ surriso! Comme dice? “Mamma mia, stanne troppi ccalurie so’ pesante, fanno male?” Si va buò,ma è Natale!
Sebbene gli struffoli siano i dolci più napoletani che ci siano, a pari merito con la sfogliatella e la celebre pastiera, e il noto babà, pare che siano giunti nel Golfo di Napoli tramite i Greci da cui deriverebbe il nome “struffolo”: precisamente dalla parola “strongoulos”, ovvero arrotondato. Secondo altri, invece, pare che la parola struffolo derivi da “strofinare” facendo riferimento al gesto che compie chi lavora la pasta, per arrotolarla a cilindro prima di tagliarla in palline. C’è anche chi ritiene invece che lo struffolo si chiami così perché “strofina” ossia “solletica” il palato per la sua bontà e chi, addirittura, pensa che la radice del termine “struffoli” sia da collegare allo strutto con cui anticamente venivano fatti e in cui venivano fritti.
Si tratta di un dolce tipico della tradizione napoletana costituito da numerose palline di pasta “morbidamente croccante”, fatte con farina, uova, zucchero, burro ed aromi; fritte in olio bollente o strutto e, una volta raffreddate “avvolte” dal miele e “assemblate” a forma di ciambella o di “piramide”. Si decorano con frutta candita, e confettini argentati e zuccherini variopinti.
Ad ogni modo, se è ancora incerta la loro provenienza, è viceversa, certo che sono destinati da sempre ad arricchire le tavole in festa dei napoletani , fino ad entrare nelle case di tutta l’Italia Centro-meridionale acquisendo di tanto in tanto forme e nomi diversi ma restando quasi sempre identici nella sostanza.
In Umbria e in Abruzzo lo struffolo si chiama cicerchiata, perché le palline di pasta fritta legate col miele hanno la forma del legumi dal nome “ cicerchie”. Gli abitanti della Tuscia, regione intorno a Viterbo, chiamano ancora oggi struffoli quelle frittelle di pasta soffice e leggera che altrove vengono definite “castagnole”, e si mangiano a Carnevale. In Basilicata e Calabria, invece, troviamo la cicerata per la loro somiglianza ai ceci detti “ciceri”. Gli struffoli si trovano pure in Sicilia, soprattutto nel catanese ,con qualche piccola ma non sostanziale variante, che li trasforma nelle “sorelle” “pignoccata “ e “pignolata”, in cui le palline si trasformano in bastoncini arrotondati uniti tra loro dal dolcissimo miele che fa da collante.
Nella preparazione degli struffoli nulla è lasciato al caso. Ciascuna pallina di pasta fritta è un capolavoro di ingegneria domestica, ottenuto “scientificamente” dopo centinaia d’anni di sperimentazione nelle cucine di ogni tipo. Infatti il vero struffolo dev’essere piccolo per rendere maggiore il numero di “palline” ricoperte di miele, con vantaggio per il sapore. Ciò avviene soltanto se si creano pazientemente delle palline di pasta di piccole dimensioni.
Con il loro perfetto connubio tra la croccante morbidezza delle singole palline e la dolcezza del miele, gli struffoli si adattano al festoso clima natalizio contribuendo a migliorarlo e se lo fanno oggi, figuriamoci quanto lo facevano in passato quando la vita media era molto più breve, e in media, molto più grama. Tutti, inclusi i bambini, mangiavano poco e male, fuorché a Natale e alle feste comandate. L’unica consolazione, per grandi e piccini erano dolci “rassicuranti” come gli struffoli che non fanno male, che e non vanno a male, in quanto si conservano a lungo. Anticamente, a Napoli, gli struffoli venivano preparati nei conventi, dalle suore dei vari ordini, e recati in dono a Natale alle famiglie nobili che si erano distinte per atti di carità.
Come per tutte le ricette ormai “codificate” , che sembrano non presentare punti oscuri, gli struffoli sono insidiosi poiché nascondono molti segreti, spesso custoditi gelosamente. Uno di questi riguarda la quantità di miele che deve essere usato in maniera copiosa. Senza di lui, questo dolce non sarebbe lo stesso. Il miele è il simbolo della Dolcezza al punto che il corpicino di Gesù Bambino viene definito “roccia che dà miele”. Non è quindi un caso che gli struffoli siano un dolce che festeggia la natività.
Un’altra regola d’oro è che negli struffoli tutti gli ingredienti sono fondamenta li e nessuno può essere considerato “accessorio”.Dai canditi ai “diavolilli”. L’ arancia , cedro e la zucca candita detta “cucuzzata” o zuccata sono tutti elementi indispensabili la cui assenza non passerebbe di certo inosservata ai palati degli “intenditori”.
Gli struffoli, come tutte le pietanze “sempiterne”, nella loro sostanziale immutabilità presentano molte varianti: regionali, familiari e personali. Anche se gli ingredienti sono esattamente gli stessi, mangerete tanti struffoli diversi per ogni luogo diverso in cui avrete la fortuna di assaggiarli. E ciascuno vi dirà, essendone convinto, che i “propri” struffoli sono quelli autentici della tradizione, perché tramandati dalla nonna, dalla mamma o , addirittura, da una zia monaca.
Non c’è Natale per i napoletani puri o “mezzosangue” o semplici simpatizzanti della cucina partenopea, degno di questo nome in cui la casa non sia intrisa dal profumo inebriante degli struffoli appena fritti e pervasa dell’aroma dolciastro del miele che li “cinge” in un abbraccio avvolgente.Per tutti i nostri saggi assaggiatori riportiamo l’ esclusiva ricetta degli struffoli napoletani di mamma Adriana, indaffarata in questi giorni a fare struffoli da regalare ad amici, vicini di casa e parenti.
STRUFFOLI NAPOLETANI
Ingredienti
farina 500 gr
zucchero 200 gr
miele
200 g
un cucchiaio di burro
4 uova intere
1 bicchierino di anice
1 cucchiaino di cannella e 1 di vaniglia
la scorza di un limone grattugiato
Per guarnire: ciliegie, arancia cedro e zucca canditi, zuccherini variopinti e confettini
In una terrina amalgamate la farina, lo zucchero, il burro ammorbidito, le uova, il limone grattugiato, il bicchierino di anice, la vaniglia e la cannella. Trasferite il tutto sul piano di lavoro e impastate per bene. Con l’impasto ottenuto fare dei “filoncini” spessi un dito e tagliarli a tocchettini come si fa per gli gnocchi. Friggere i piccoli pezzi di pasta così ricavati in olio bollente e metterli da parte su carta assorbente in modo da eliminare l’unto in eccesso. Scaldate, in un tegame ampio, il miele e versarvi gli struffoli, girandoli bene fino a quando risulteranno lucidi e perfettamente impastati con il miele. A questo punto, versateli subito in un piatto da portata dando una forma di ciambella al cui centro metterete un’arancia fino a quando si saranno raffreddati in modo da mantenere in “buco” centrale. ( o, se preferite, di “piramide” simile ai profitteroles). Una volta raffreddati, decorate con i canditi tagliati a pezzetti, zuccherini colorati (diavolilli) confettini argentati, e le ciliegie intere.