Pasqua, cala il consumo di carne d’agnello per la gioia di vegetariani e vegani
Pasqua e Pasquetta passate. A braci spente, con le lavatrici ancora piene di indumenti intrisi di fumo e i capelli non meno maleodoranti, sentiamo levarsi silente un sospiro di sollievo da parte di coloro che vivono questa “orgia gastronomica”, in cui sembra che in due giorni si debba mangiare per soddisfare il fabbisogno di tutta la vita, come una punizione e non certo come un momento di festa.
Questi esseri “strani e incomprensibili” per molti, sono i vegetariani e vegani, ovvero coloro che hanno scelto per motivi etici di non consumare prodotti di origine animale e i loro derivati ogni giorno della propria vita, soprattutto nelle feste comandate dove si registrano normalmente delle vere e proprie stragi di animali i cui mandanti non sono certo individui loschi e incappucciati, bensì madri di famiglia, anziane signore ingioiellate, il vicino di casa tanto gentile ed educato, la ragazza della porta accanto e così via.
A confortare questo popolo di afflitti (a cui la sottoscritta si vanta di appartenere) che, contrariamente al resto del mondo, non vede l’ora che Pasqua, Pasquetta, 25 aprile e 1 maggio finiscano per non assistere impotenti al perpetrarsi dell’olocausto animale reiterato senza alcuna pietà, vi sono alcuni dati pubblicati da Codacons nell’ultimo report 2018, in cui i consumi di carne di agnello sono calati su tutto il territorio italiano: un meno 10% rispetto al 2017 e il trend risulta essere ulteriormente in discesa.L’Associazione Italiana Animali ed Ambiente (AIDA&A) ha monitorato un campione di 100 macellerie (seguendo i trend per 8 anni) e per quest’anno, si registra una decrescita in termini di prenotazioni di carne del 28%.
Ciò che conforta è che i consumi cambiano, anche in periodo di festa come dimostra la tendenza della Pasqua 2019 che ha registrato un calo del 10% di consumo di carne di agnello (il cui acquisto era già calato del 10 per cento lo scorso anno, secondo i dati Codacons) e un po’ più carne di ovino adulto ( il che se non è una vittoria è pur sempre meglio che l’uccisione di cuccioli di neanche due mesi di vita).
Le tavole e i prodotti tipici della ricorrenza pasquale non hanno portato alcun beneficio alle casse di alimentaristi e macellai dunque, che anzi, lamentano cali degli introiti da “capogiro”. Ad avere la peggio è stata di sicuro la carne, sia quella bovina che quella agnello e capretto, con contrazioni sino al 40%, anche , soprattutto, a causa delle nuove tendenze alimentari, che vedono il nutrito popolo di vegetariani e vegani in continua crescita esponenziale, cui si aggiunge la già notevole popolazione di fan del bio.
Lo dimostrano anche i menù dei ristoranti, dove molti chef hanno proposto piatti, alternativi a quello tradizionale, a base di pesce o vegetariani, o in caso di carne proponendo pietanze a base di ovino adulto.
Nel mondo dell’ alta cucina, infatti, questo antico ingrediente è tornato in auge. Per molti chef è oltre che una questione di gusto, anche di sostenibilità. Paradossalmente (e neanche tanto però) sono gli chef più che i consumatori ad avere maggiore consapevolezza e spetta a loro il compito di preparare pietanze che oltre ad essere buone siano sempre più rispettose del cibo e della sua provenienza.
È comprensibile (o quasi) che cambiare la tradizione, sia difficile, ma comprendere che non vi è differenza tra un cucciolo di cane, gatto o pecora (se non nel nostro cervello) è il punto di partenza per attuare un cambiamento radicale senza difficoltà. Dobbiamo solo capire se vogliamo essere consapevoli e veramente liberi di cominciare a scegliere senza le “obbligazioni socio-culturali silenziose”.
Ecco l’unica, vera, difficoltà.